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LA MIA 100 KM DEL SAHARA... di Giulio Minoja

Eccomi stavolta con il cappello di presentatore per invitarvi a leggere l'articolo del nostro socio nonche' mio amico dott. Giulio Minoja (direttore del reparto di anestesia e rianimazione dell'ospedale di circolo di Varese - scusa se sbaglio qualche cosa Giulio).

Giulio ha fatto la la sua prima maratona con Me A NewYork nel 2004, e da allora e' stato folgorato dalla corsa e ne sta' esplorando ogni sua piega, e siccome come ormai sapete Io amo l'estremo in tutte le sue forme non posso non presentarvi la sua 100 km del sahara, per cui Io lo invidio molto!!! Prima o poi vi raccontero' anche la mia Marathon des Sables (quando trovero' uno sponsor che mi supportera' nel delirio). Buona lettura

Adriano

Cento, anzi 104 km di corsa nel deserto, e un cammino di avvicinamento molto lungo, che inizia, direi, da un reparto di ospedale e da una famiglia complice più che comprensiva, attraversa nei ritagli di tempo sentieri e piste ciclabili, percorre 13 maratone e diverse mezzemaratone in giro per l'Italia o all'estero.

Costringe a qualche rinuncia, ma tanto il colesterolo resta comunque alto. E poi negli ultimi mesi, uscire per correre la sera, al freddo, anche se piove o nevica, l'ultimo allenamento con gli amici in Valganna "perchè correre sulla neve sarà più o meno come correre sulla sabbia….".

Il Viaggio. Sotto sotto c'è un po' di emozione per una avventura forse sproporzionata alle possibilità di chi deve coltivare altre abitudini. Ma già il viaggio è coinvolgente: prima Tunisi, poi un volo interno verso sud, su Tozeur, l'indomani con una carovana di 4 x 4 altri 300 km di strade sempre più polverose fino alla splendida oasi di Ksar Ghilane, Grande Erg Orientale, dove si svolge un primo briefing sulla corsa, e si passa la prima notte in tenda, in compagnia di altre 7 persone. L'aria è pulita e l'oasi è qualcosa di speciale: acqua esce dal terreno a formare due laghetti trasparenti, poi si incanala con forza, infine si disperde in mezzo al verde alimentando una fitta vegetazione, perfettamente delimitata. Non ci sono vie di mezzo: finito il verde c'è solo il deserto. Domani si comincia.

La prima tappa è di 23 km. Ci affacciamo alla partenza, tira vento e il cielo è coperto, di un colore giallognolo, poi capiremo perché.

Uomini del luogo ci guardano curiosi stando accovacciati sulla sabbia, i loro dromedari no, quelli guardano svogliati oltre l'orizzonte, i ragazzi dell'organizzazione, che presteranno assistenza lungo il percorso per tutti i quattro giorni, sono già a bordo dei loro "quod" e indossano rosse giacche a vento, sciarpe fin sopra il naso e occhiali chiusi da motociclista, poi capiremo perché.

Il percorso è scosceso, la sabbia è soffice come borotalco, se provi a passare dove è già stata pestata, anziché diventare più compatta risulta ancora più cedevole, mica come la neve della Valganna….Prima un su e giù di dune, poi tratti di terreno compatto ma sassoso, poi il vento, presente fin dall'inizio, si alza, solleva la sabbia che si mischia a una pioggia fredda. Freddo, sudore, vento, sabbia, pioggia, sassi, tanto peggio tanto meglio, non volevamo provare emozioni forti? Incontro un gruppo di motociclisti fermi ad aspettare condizioni migliori e a consultare una mappa, scatto una foto, quelli mi fermano a loro volta per una foto di gruppo: i Tedesconi nelle loro corazze di pelle e carbonio con l'Italiano mingherlino in maglietta e mutande in mezzo al deserto del Sahara. Sono qui per godermi ogni momento, chissenefrega se anche perdo 2 minuti su un tempo totale, magari, di 12 ore. Una pacca sulla spalla, good luck! e via. Ancora dune e poi l'arrivo più o meno dopo 2 ore e 50. Il vento freddo cresce, tento una doccia, l'acqua è gelata e mi ricopro comunque di sabbia. E' normale la sensazione di freddo dopo una fatica prolungata, hai finito la benzina e la produzione di calore si riduce. Rinuncio alla doccia e un poco alla volta indosso a strati tutto quello che ho portato con me nella sacca. Come preannunciato dagli esperti, appena cala il sole anche il vento si spegne, e posso scattare un bel po'di foto sulle dune, tra le tende, ai compagni di corsa.

La seconda tappa, di soli 16 km, vola via in un soffio in una giornata splendida, calda ma asciutta e giustamente ventilata, all'arrivo la doccia, sempre gelata ma sotto il sole. Non ci sono privilegi e distinzioni sociali, i runners sono tutti uguali, in braghe corte sul percorso, seminudi o nudi sotto la doccia all'aperto in mezzo alle dune. Solo per le donne, un po' meno uguali, una precaria barriera anticuriosi. Come passare l'intero pomeriggio in mezzo al deserto prima della maratona di domani? Ho portato un libro ma resterà nella borsa a riempirsi di sabbia, ci sono cose intellettualmente molto più impegnative da fare: rilassare i muscoli, ascoltare sotto la tenda Fabio e Romolo con i loro racconti di montagna, conoscere nuovi compagni di viaggio, scegliere la maglietta da indossare domani e appuntare con simmetria il pettorale, miscelare acqua e integratore nel "camelback", zainetto con dotazioni obbligatorie di liquidi, barrette energetiche, e dispositivi di sicurezza. Poi una buona tazza di caffè lungo nella tenda comune, due chiacchiere con il collega medico modenese che segue la corsa, quattro passi tra le dune a chiedersi come fanno a spuntare anche quei pochi cespugli, a cercare la mitica rosa del deserto, e godersi il silenzio limpido e inodore dell'aria verso il tramonto. La sera un pensiero a chi è a casa e non puoi contattare con il cellulare perché non c'è campo, un altro pensiero un po' preoccupato alla maratona di domani: normalmente non ci si carica di km alla vigilia di una maratona, al contrario di quello che abbiamo fatto nei primi due giorni di corsa, e su che terreno! Alle 10 tutti a nanna.

La maratona. Sveglia alle ore 6, come 6 sono i gradi di temperatura dentro la tenda. 42,195 km sono tanti se corsi sull'asfalto, e il maratoneta di solito si lamenta se deve superare il dislivello di un cavalcavia, il massimo è Berlino, maratona superpiatta e veloce, roba da record. Questa è tutta un saliscendi di sabbia fine o terreno sconnesso, a metà un lunghissimo, interminabile rettilineo in continua salita, poi il terreno si arricchisce di sale e diventa di un bianco abbagliante con riflessi di cristallo, nel finale (ma quando arriva il finale? non ci sono riferimenti certi come nel mondo civile, a meno di non avere il satellitare) ancora dune di sabbia finissima e candida. Se parti con il primo gruppo - quello dei più lenti - sei fortunato perchè per un po' fa ancora fresco, ma arrivando dopo quasi 5 ore hai corso le ultime due con il sole a picco. Allora bevi dal tuo "cammello", mangia ancora una barretta, fermati ai due ristori volanti e tracanna the e arraffa i datteri che sono buonissimi e contengono fruttosio, potassio e magnesio, tutta roba buona per i muscoli! L'intero percorso è comunque un film bellissimo, se mantieni la lucidità per guardarti intorno e commentare quello che vedi con qualcuno che ha il tuo stesso passo. Peraltro lungo i 42 km siamo molto sgranati, per cui si può correre per decine di minuti in magnifica solitudine, salvo incontrare rari nomadi con i loro dromedari e un somaro, due camper che incrociano il nostro percorso e un camion sgangherato su una specie di pista, veder volare via un uccello, schivare insetti neri e panciuti che camminano sulla polvere. All'arrivo la temperatura è sui 30 gradi, la doccia, il pranzo (ma la stanchezza toglie la fame, non riesci ad abbuffarti dopo tanta fatica), riposo sul sacco a pelo (lo dico solo adesso, si intende stesi per terra, non esistono brandine), caffettone, chiacchiere, quattro passi attorno al campo, e la sera arriva in fretta, con il cielo limpido e uno sciame di stelle vicinissime alle nostre teste. L'infermeria resta accesa fino a tardi, per i molti piedi piagati, qualche distorsione (anche uno dei favoriti!) e un runner colpito da diarrea, che riceve generose infusioni endovenose.

L'ultima frazione, gli ultimi 23 km. Avrei detto è fatta, è tutta discesa, in realtà non esiste di correre questa distanza, o anche molto meno, dopo i 23+16+42 dei giorni precedenti. Per cui l'incognita del cedimento incombe fino all'ultimo chilometro. Anzi, gli ultimi 5 sono proprio tra i più duri, un ultimo Erg fatto di dune bianche molto alte e soffici, tanto caldo con poca ventilazione. La Porte du Sahara è un vero miraggio: una struttura candida, una lunghissima gradinata che guarda il deserto interrotta - appunto - da una volta che introduce all'oasi e alla città di Douz. Con gli ultimissimi passi sai che ce l'hai fatta, e allora ti dispiace di non avere ancora qualche tratto di deserto da misurare, da calpestare, da superare, almeno è quello che penso io. Appena dopo l'arrivo una ragazza dello staff mi inforca la medaglia e mi bacia nonostante la faccia impastata di sabbia, sudore e integratore, faccio mambassa di bevande e frutta fresca, mi cambio la maglietta indossando quella pulita, asciutta e ufficiale del "finisher" della 100 km del Sahara, percorsi alla fine in 11 ore e 41 circa. Una telefonata a casa, tutto ok, missione compiuta! Occorre spiegare che la fatica prolungata fisiologicamente stimola a livello cerebrale la produzione di endorfine, sostanze simili alla morfina, ed endocannabinoidi, sostanze simili alla cannabis, il tutto finalizzato a limitare la sofferenza fisica: un mix di sensazioni esterne, ricordi recenti, traguardo raggiunto e appunto neuromediatori, che produce un immediato senso di appagamento, di felicità. Di solito la sensazione di una maggiore autostima dura diversi giorni, provare per credere.

Il rientro è un'altra prova estrema: domenica sera a Malpensa, lunedì mattina presto in giacca e cravatta per dire due parole ad un Convegno sui trapianti, poi di corsa in Ospedale, c'è il Ministro in visita, dopo, finalmente, uno sguardo agli ammalati e le ultime novità da parte di Colleghi e Capo Sala. La sera assieme a Flavia e Ale mi guardo incredulo le foto scaricate sul PC.

Giulio Minoja
Versione integrale di quanto già pubblicato su "La Prealpina".