"Corri
quando puoi, cammina quando devi, striscia se
serve; ma non mollare mai".
( Dean Karnazes...uno che di strada ne ha fatta
davvero tanta)
Vi
voglio raccontare un sogno: Chamonix- Mont Blanc,
Place du Triangle de l'Amitié, assolato
pomeriggio del 28 agosto a.d. 2015. Ci sono
voluti 3 anni di frustrante attesa perché
una favorevole congiunzione astrale facesse
coincidere la data del mio compleanno con la
partenza dell'Ultra
Trail du Mont Blanc.
Mi
vengono ancora in mente un paio di definizioni
lette sulle riviste del settore: "La
regina delle gare trail sulla regina delle montagne"-
"Il trail che tutti una volta nella
vita dovrebbero correre o vedere".
Avevo sempre pensato alla solita retorica d'oltralpe;
almeno fino al mio arrivo di ieri in questa
cittadina dell'Alta Savoia, che nella "settimana
del trail" vede l'arrivo di ben 4 gare,
su diverse e crescenti distanze (OCC, CCC, TDS,
UTMB) - oltre alla PTL, una "follia"
a squadre lunga 330Km in totale autosufficienza
- con tracciati che percorrono 3 nazioni (Francia,
Italia e Svizzera) ed un totale di 11000 iscrizioni.
Già
al primo impatto, al ritiro del pettorale, ho
dovuto ricredermi: l'organizzazione francese
è una macchina da guerra, solida come
una vettura tedesca e precisa come un cronometro
svizzero; nulla è lasciato al caso: vieni
preso in custodia da decine di "Benevoles",
i volontari, che si prendono cura di tutte le
tue esigenze, a dispetto del tuo francese da
sordomuto o di un inglese da analfabeta. Poi
il "Salon de l'Ultra Trail", un kilometro
di chalet espositivi che unisce il centro sportivo,
sede organizzativa alla Place du Triangle de
l'Amitié, cuore di Chamonix, partenza
dell'UTMB ed arrivo di tutte le gare: il paradiso
dell'outdoor ed una trappola infernale per la
tua carta di credito; a fronte dei suoi 50000
visitatori le più grandi maratone
nostrane sembrano la sagra del paesello.
Ma la sorpresa è ancor più grande
da quando ti mettono al polso un braccialetto
che, a seconda del colore, identifica la tua
gara; da quel momento in poi i perfetti sconosciuti
che incontri sul tuo cammino cominciano a salutarti,
complimentandosi con te in tutte le lingue del
mondo, fino ad un imbarazzante e francesissimo
"superbe". Ma ora mancano pochi
minuti alla partenza e sono qui, in un arcobaleno
di colori ed una babele di lingue (saprò
poi che i partenti sono più di 2500);
alle 18 lo start; i top runner schizzano via
come mezzofondisti; per il resto di noi è
una sfilata tra due ali di folla acclamante
sulle note di "Conquest of Paradise"
di Vangelis (ne sconsiglio vivamente l'ascolto,
farebbe spuntare due lacrime anche al più
rude di noi); tutti accompagnano il tuo nome,
scritto sul pettorale, con parole di incoraggiamento.
Ci vogliono 18' per fare il primo Km; gli altri
12, pressoché in discesa, hanno il ritmo
di una coda da esodo d'agosto al casello di
Melegnano...prima dell'invenzione del telepass;
questo effetto trenino andrà avanti per
tutta la gara, tutte le volte che una strada
forestale si trasforma in single track .
Come
pure proseguirà un tifo da stadio, a
qualunque ora del giorno e della notte, non
solo in tutti i paesi attraversati ma in qualunque
luogo accessibile dal pubblico e "Bravò
Cesare, bon courage, bon voyage" diventa
un mantra. Una volta "scaldatomi",
cosa non difficile viste le temperature di quest'anno
(ho corso giorno e notte anche sopra i 2500m
indossando solo la maglietta della nostra Società)
nella prima metà della gara adotto una
tattica alla Calcaterra (mi perdoni Re Giorgio
per l'irriguardoso paragone) tirando il più
possibile tutta la notte per mantenere sempre
un buon margine sulla chiusura dei "cancelli"
Col
de la Seigne, 2507 m slm, ore 6,28 di sabato
29 agosto: "bentornato in Italia Cesare";
mi saluta così il commissario di gara
dopo 60 Km; adesso ne mancano 20, durissimi,
per arrivare al giro di boa di Courmayeur, dove
riposo un poco, mangio e mi cambio completamente,
scarpe comprese; riparto arrancando nella calura
tropicale per risalire in quota: rifugio Bertone,
rifugio Bonatti, sfondo la barriera dei 100
km sul Grand Col Ferret, 2527 m slm, punto più
alto dell'UTMB, per scollinare in Svizzera con
una vertiginosa discesa (1100 m in meno di 10
km) fino a La Fouly; l'idillio con la gara finisce
dopo 14 Km con l'irreale visione notturna degli
chalet a contorno del quieto laghetto di Champex;
da li in poi una serie di strappi brutali, tutti
sui 10 km, 5 in salita 5 in discesa, 1000 m
su, 1000 m giù, mi riportano in Francia,
prosciugando il corpo e la mente.
Salita
della Bovine, fatta più con le mani che
con le gambe, saranno le 3 del mattino di domenica
30 agosto; ho voglia di imitare quello che ho
visto fare a tanti sul percorso: buttarmi sul
ciglio del sentiero e farmi prendere dal sonno,
senza più pensare alla fatica, al dolore,
a nulla; una provvidenziale scivolata in un
gelido guado per fortuna mi risveglia e fornisce
un'adeguata carica per macinare i 30 km che
mi separano da Vallorcine; sono le 10, 30 del
mattino; mancano meno di 20 Km all'arrivo ma
ho consumato quasi tutto il vantaggio sulle
barriere orarie; purtroppo mi aspettano gli
8 km di salita con 900 m di dislivello positivo
su di un sentiero sahariano fino alla Tete Aux
Vents, 2116 m slm; sono in cima alle 13,07,
completamente disidratato; mancano "solo"
3,5 km all'ultimo cancello della Flegere; impiego
ben 50' minuti per arrivarci, ma la partita
ormai è vinta. Adesso sono meno di 8
km al traguardo di Chamonix; non importa se
ci sono 850 m di dislivello negativo; in 2 ore
e ½ potrei farli anche strisciando.
Quindi
spengo il cervello e procedo in trance rispondendo
con sorrisi ebeti agli incoraggiamenti della
gente che incontro sul sentiero, sempre più
numerosa e festante all'avvicinarsi della strada
asfaltata. A questo punto mancheranno forse
800 m all'arrivo; istintivamente comincio a
correre; sempre più veloce, sento le
gambe leggere come in un sogno, ma non sto sognando:
ci sono due ali di folla che gridano il mio
nome, mani che mi danno il 5 facendomi volare
verso il traguardo. E' una situazione surreale,
come se fossi io il vincitore; ed in effetti
il premio c'è: la mia famiglia ad aspettarmi
sul traguardo. Giusto il tempo di un bacio ed
un abbraccio e sono nuovamente fagocitato dalla
macchina organizzativa che, per fortuna mi libera
in fretta, dopo le formalità di rito
(riconoscimento finisher e foto ufficiali)
Adesso
mi sento bene anche se i ricordi sfumano (e
forse il sogno comincia proprio qui): sono circondato
dall'amore dei miei cari e sto bevendo una birra
ghiacciata in terra di Francia; il clamore pian
piano si attenua e mi avvio ad un meritato riposo.
Tornato alla realtà quotidiana, riprendo
le sensazioni vissute nel mio sogno: L'UTMB
è davvero una gara unica, per organizzazione,
partecipazione ed integrazione nel territorio;
è una gara vera, spesso dura e brutale,
che quando pensi di aver finalmente domato,
ti disarciona; l'avversario è il tempo
e ne rimane davvero poco per l'abituale ed un
po' goliardico "spirito trail". Mancano
le struggenti solitudini del TOR ed i suoi panorami:
all'UTMB non si è mai soli e, pur non
mancando scorci di rara bellezza, l'orizzonte
spesso altro non è che un'irta salita
nel buio di un bosco; ma anche 2500 lampade
frontali che si snodano nelle valli alpine,
come un gigantesco serpente luminoso, sono uno
spettacolo indimenticabile; e chi, come me,
solitamente arriva al traguardo quando già
stanno sbaraccando i gonfiabili, qui può
sperimentare le sensazioni della vittoria.
L'UTMB
dimostra come anche l'agonismo considerato "minore"
possa fare grandi numeri (anche in termini economici)
se sostenuto da un'adeguata "cultura"
sportiva, purtroppo da noi praticamente inesistente
o monoliticamente legata al calcio; Chamonix
è una piccola città ma ha tanti
impianti sportivi ed una pista di atletica,
degna di un meeting internazionale, gratuitamente
accessibile a tutti per l'intera giornata; qui
per tutta la durata del soggiorno gli atleti
ed i loro accompagnatori hanno libero accesso
ai numerosissimi mezzi pubblici, mentre alla
maratona di Milano dello scorso anno dovevi
pagarti il biglietto di ritorno a Rho!
L'UTMB
rappresenta anche una bella lezione di ecosostenibilità
in un ambiente estremamente fragile: simpatiche
retine portarifiuti fornite col pacco gara,
nessun bicchiere o bottiglia di plastica fuori
dai ristori e, pur procedendo nelle retrovie,
su 170 km di tracciato avrò contato meno
di 10 involucri di integratori, mi piace pensare
inavvertitamente perduti da atleti provenienti
da tutto il mondo che veramente rispettano la
montagna.
Ma
adesso che sono ben sveglio posso finalmente
ringraziare chi mi ha accompagnato anche in
questo lungo sogno: Gabry, Francesco e Gabriellina
che con amore ed ironia hanno segnato ogni mio
kilometro. Luca, il mio tutor che, nonostante
tutto, è riuscito a darmi un'adeguata
preparazione atletica e la giusta carica motivazionale.
Luana&Fabrizio, Lorena&Elio, Roberto
e tutti gli Amici gialloneri che ho sentito
vicini nel mio viaggio
Non
Plus Ultra....adesso ci fermiamo un po'
Buone corse a tutti
Cesare